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La scomparsa di Paolo Vinti

6 dicembre 2010
PRC-Bevagna In primo piano
           La scomparsa di Paolo Vinti
 
“Non ti preoccupare, Paolo,non ci arrendiamo; te la facciamo la rivoluzione” di Giovanni Russo Spena, membro direzione nazionale del Prc

Paolo Vinti, qualche giorno fa, è morto. La sua città, Perugia, lo ha accolto nel suo grembo con un ricordo, una testimonianza di migliaia di persone. Perché Paolo ha lasciato un vuoto che non è solo politico, ma di cultura, di sensibilità poetica, di autoironia. Paolo costruiva relazioni attente e continue, legami basati su affettività e corporeità.


Lo avevo sentito telefonicamente (come accadeva, da trent’anni due o tre volte alla settimana) due ore prima che il maledetto ictus lo aggredisse. Parlammo, come al solito, di politiche internazionali, di cui era appassionato e competente; discutemmo della crisi dell’Europa Maastricht, dell’Irlanda, della vittoria dei comunisti in Grecia. La sua lucida cultura non era mai accademica; voleva confrontarsi; i suoi pomeriggi trascorsi in Corso Vannucci a parlare con gli studenti così come con i pensionati, erano diventati parte di una città colta, accogliente, meticcia come Perugia. Il suo orizzonte, anche nei momenti più bui, era la capacità di indignazione, di ribellione, l’utopia concreta (alla Bloch, filosofo comunista, che Paolo, militante demoproletario, e poi, tra i fondatori di Rifondazione comunista, amò molto). 

Le ragazze, i giovani che con lui si intrattenevano in Corso Vannucci, erano sorpresi dalla sua sapienza letteraria, dalla sua sperimentazione musicale, dalla sua irriducibile fede poetica. Perché in lui la memoria storica del militante si ricollegava ad una forte curiosità innovativa, alla necessità della fondazione del pensiero comunista contemporaneo. Militanza politica, cultura, vita in Paolo si fondevano; in maniera quasi naturale, in maniera dolcemente sobria. Quando la malattia tentò di imprigionare corpo e mente in una gabbia, egli seppe romperla, volare via con la sua mente, seguendo la sua ostinazione anticapitalista, la sua amabile ossessione di un altro mondo possibile. Un mondo da cambiare subito, perché Paolo sapeva di non avere molto tempo.

Le sue più famose e frequenti espressioni erano “leggendario” e “con emozione”. Nell’aggettivo “leggendario” c’era la sua caparbia non accettazione di una realtà che rifiutava, innalzandosi verso la leggenda.

 “Con emozione”, per Paolo, significava il nesso tra la scientificità dell’analisi politica e il suo trasfondersi nel calore di una passione ideale, che fa della militanza un’emozione. Ho saputo, arrivando l’altro ieri a Perugia, che studenti e precari in lotta avevano esposto uno striscione: “Non ti preoccupare Paolo, te la facciamo la rivoluzione”. Splendido. Queste ragazze, questi ragazzi hanno saputo entrare dentro Paolo; e lo ricordano non come simulacro del passato ma come vissuto di un futuro, di un percorso di lotte; indicato con la sobrietà e l’umiltà che a Paolo piacevano, senza personalismi e populismi. Non è questa la “connessione sentimentale” tra intellettuale e popolo di cui parlava Gramsci? Non una organicità di tipo pedagogico, ma una connessione con la funzione più generale del partito politico, di cui Paolo fu militante estroso, critico ma perenne, giorno dopo giorno. Costruì sempre, non distrusse mai. Grazie Paolo, per quello che hai saputo dirci. E anche noi, con gli studenti, diciamo: “Non ti preoccupare, non ci arrendiamo; te la facciamo la rivoluzione”.

 
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